In occasione del Summer Fancy Food Show di New York, abbiamo incontrato Luciano D’Aponte, responsabile della promozione agroalimentare della Regione Campania. Con lui abbiamo parlato delle strategie messe in campo per sostenere l’export delle eccellenze campane, delle sfide legate all’Italian Sounding e del ruolo centrale della filiera della pizza nel rafforzare la reputazione internazionale dei prodotti regionali. Tra fiere internazionali, investimenti mirati e tutela delle denominazioni, la Campania punta a consolidare la propria presenza sui mercati globali.
Quali sono gli strumenti concreti che la Regione Campania sta mettendo a disposizione delle imprese agroalimentari campane per aiutarle a crescere fuori dall’Italia?
La Regione Campania ha un programma agroalimentare promosso dall’assessore Nicola Caputo, che prevede numerose iniziative, sempre più frequenti, anche all’estero. Il nostro programma conta circa 40 iniziative, di cui oltre 10 rivolte ai mercati internazionali. Siamo presenti in tutta Europa, dalla Spagna alla Francia, partecipando a fiere come Alimentaria e SIAL per il settore agroalimentare, e per il vino a manifestazioni come Wine Paris e ProWein.
Ma non ci fermiamo all’Europa: siamo attivi anche nel resto del mondo. Siamo stati recentemente in Giappone, il mese scorso a Shanghai, in Cina, e ovviamente anche negli Stati Uniti. Qui partecipiamo regolarmente al Fancy Food Show, dove non manchiamo mai, e al Vinitaly a Chicago. Si tratta, insomma, di un pacchetto di fiere piuttosto impegnativo.
Qual è la chiave per comunicare il valore dell’artigianalità e dell’eccellenza campana nel mercato americano? E qual è la categoria di prodotto con il maggior margine di crescita?
L’artigianalità è una caratteristica trasversale sia all’agroalimentare sia al vino. Per quanto riguarda il vino, i nostri numeri non sono paragonabili a quelli del Piemonte, della Toscana o del Veneto, ma abbiamo eccellenze sempre più presenti sul mercato: penso al Fiano di Avellino, al Greco di Tufo, alla Falanghina del Sannio per i bianchi, ma anche ai rossi come l’Aglianico del Sannio e il Taurasi.
Nel campo agroalimentare, le nostre performance negli Stati Uniti sono ancora più significative, al punto da alimentare – purtroppo – anche fenomeni di Italian Sounding, come accade con il pomodoro San Marzano o la mozzarella di bufala. Sono molti i prodotti dell’agroalimentare campano che fanno la differenza, e possiamo dire che, per volume, siamo secondi solo all’Emilia-Romagna.
Guardando al futuro, quali sono le priorità della Regione Campania per consolidare la reputazione dei suoi prodotti e attrarre nuovi investimenti?
Ho accennato prima al problema dell’Italian Sounding, che riguarda molti dei nostri prodotti DOP e IGP: il pomodoro viene copiato, oppure commercializzato senza il rispetto delle denominazioni europee. Per questo abbiamo messo in campo una promozione articolata che coinvolge l’intera filiera della pizza. L’arte del pizzaiolo napoletano è patrimonio UNESCO, e attraverso questa filiera – e grazie ai tantissimi pizzaioli e chef campani presenti nel mondo – puntiamo a far viaggiare sempre di più i nostri prodotti. L’obiettivo è aumentare l’export e rafforzare la reputazione dell’agroalimentare campano a livello globale.
Grazie per essere stato con noi.
Grazie a voi.
L’articolo Luciano D’Aponte racconta l’export agroalimentare della Campania proviene da IlNewyorkese.