
La Supercoppa Italiana assegna stasera il suo trofeo a Riyad, ma Napoli-Bologna si giocherà in una cornice che stride con il valore sportivo dell’evento. L’Al Awwal Park sarà lontano dal tutto esaurito: 17-18 mila spettatori attesi in uno stadio che avrebbe dovuto celebrare il grande calcio italiano. Un paradosso evidente, perché in campo ci sono le due squadre che più di tutte hanno meritato di esserci: i campioni d’Italia e i detentori della Coppa Italia.
È una finale “vera”, forse la più autentica possibile, ma anche la meno gradita ai padroni di casa sauditi, che speravano in almeno una delle grandi “strisciate”. Il risultato sarà un’atmosfera fredda, quasi sospesa, che rischia di accompagnare con un “effetto acquario” una partita dal peso storico notevole, soprattutto per il Bologna, alla prima Supercoppa della sua storia.
Purtoppo per gli sceicchi sauditi, ma anche per il calcio nostrano, i soldi non comprano la passione e i 53 milioni di euro investiti dal fondo Pif per portare la Supercoppa Italiana a Riyad da una parte arricchiscono le casse del sistema, dall’altro evidenziano le lacune di appetibilità del nostro calcio nel mercato arabo, dove i brand di Juve, Milan e Inter sono più appetibili del brand Serie A stesso.
La mancanza di top player che possano, con il proprio personal branding, creare engagement fa il resto, quindi ci troviamo nel paradosso di un evento che in Italia avrebbe fatto sold out, ma senza generare introiti di rilievo, mentre in Arabia Saudita (per adesso) genera decine di milioni di ricavi senza però coinvolgere i tifosi nostrani e senza appassionare gli appassionati (ridondanza cercata…) arabi.
Resta da vedere per quanto tempo ancora il mondo saudita deciderà di investire nel brand Serie A, ed è un tema cruciale perché quei soldi potrebbero presto sparire dai radar: un evento di successo viene ripetuto, anche a cifre maggiori (il potere contrattuale dei protagonisti aumenta) mentre un evento che stenta a decollare rischia di diventare un asset da dismettere presto per gli uomini d’affari arabi.
Dentro questo scenario si incroceranno due percorsi profondamente diversi ma ugualmente intensi. Per il Napoli è (forse) la chiusura di un cerchio, l’epilogo di una trasformazione, iniziata 43 giorni fa, dopo il pesante 2-0 subito proprio a Bologna. Quella sconfitta aveva segnato un punto di rottura, culminato con lo sfogo di Antonio Conte, che ha cambiato volto agli azzurri. Da allora, nuovo assetto tattico, maggiore compattezza e una squadra capace di ritrovare energia e cattiveria, come dimostrato nella semifinale vinta contro il Milan.
Il 3-4-3 di Conte ha reso il Napoli più solido e più rapido nel colpire, un sistema pensato anche per affrontare un avversario che gioca sempre in avanti come il Bologna.
«Alla fine ci si ricorda solo di chi vince», ha ricordato Conte ai suoi.
Il Bologna, però, non è disposto a fare da comparsa, nemmeno in uno stadio semivuoto. Vincenzo Italiano affronta l’ennesima finale con la lucidità di chi conosce il peso di queste partite e con l’ambizione di entrare nella storia rossoblù.
Dopo la Coppa Italia, la Supercoppa rappresenta un’occasione unica per dare continuità a un progetto che ha riportato il Bologna su palcoscenici che mancavano da decenni.
Italiano chiede ai suoi una partita senza paura: aggressiva, verticale, pronta a colmare con il gioco e con la fame il gap di valori tecnici ed economici rispetto al Napoli.
Orsolini può accendere la fascia, Ravaglia è stato decisivo in semifinale, Immobile resta un’opzione pesante dalla panchina. La città spinge da lontano, con tifosi disposti a viaggi costosi pur di esserci, anche se la cornice generale resta distante dalle grandi notti europee.
Napoli-Bologna, così, diventa il simbolo di una Supercoppa che vive una contraddizione evidente: una finale di altissimo valore sportivo, ma giocata lontano dal suo pubblico naturale. Nel silenzio relativo del deserto, conteranno ancora di più fame, tensione e capacità di reggere la pressione. Perché, spalti pieni o vuoti, la storia — come ricorda Conte — la scrive sempre e solo chi vince.
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