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Serie A…volte ritornano, da avversari: De Rossi contro la sua Roma

Ci sono partite che non hanno bisogno di presentazioni, perché parlano da sole. E poi ce ne sono altre che diventano un racconto, un romanzo breve, una ferita che si riapre sotto le luci dell’Olimpico. Roma-Genoa, 17ª giornata di Serie A, è tutto questo. Ma soprattutto è Daniele De Rossi contro la Roma, per la prima volta da avversario.

Non è solo una partita di campionato. È una resa dei conti emotiva. È il ritorno di un capitano, di un simbolo, di un uomo che per vent’anni ha incarnato un’idea di romanismo che andava oltre il calcio.

Stavolta però De Rossi non entrerà in campo dal tunnel con la fascia al braccio, né si accomoderà (si fa per dire) nella panchina verso Curva Sud vestendo la divisa societaria giallorossa, ma andrà a sedersi nell’altra panchina, indossando una giacca diversa. E con una missione inedita, che fa male solo a pensarla: provare a far perdere la sua squadra del cuore.

Lo ha raccontato senza maschere in una lunga intervista a Dazn, parlando con Massimo Ambrosini, con quella sincerità ruvida che lo ha sempre distinto. Perché dietro questo ritorno c’è anche una voglia di rivincita mai urlata, ma profonda, nei confronti di una dirigenza che – a partire dai proprietari Friedkin – ha scelto di voltargli le spalle.

De Rossi non cerca vendette plateali. Non alza la voce. Ma non dimentica. “I presidenti pendevano dalle mie labbra, a livello calcistico ho sempre avuto ampia libertà, hanno iniziato a chiedermi le cose prima di confermarmi per i successivi tre anni. Poi si sono un po’ incrinate le cose, ma quello che è successo io e il mio staff non lo meritavamo. Non sei mai pronto all’esonero, ma io pensavo e penso di essere a posto con la coscienza, non ho mai tradito chi era lì, non ho mai usato il “potere” che avevo in quella città, se mi fossi tradito da solo non sarei stato così orgoglioso”.

È qui che il racconto si fa umano prima che sportivo. Perché l’esonero dalla Roma non è stato solo un passaggio professionale, ma una frattura identitaria. Una separazione che brucia più per ciò che poteva essere che per ciò che è stato.

Roma, del resto, resta un amore che non si spegne. “A vederla adesso un po’ mi dispiace quello che è successo, hanno avuto l’exploit che io avevo predetto. Primo anno si costruisce, secondo si cresce, terzo si lotta per lo scudetto. Non eravamo proprio pazzi”, ammette DDR, ricordando quel progetto triennale che non gli è stato permesso di portare avanti. Parole che suonano come un sussurro malinconico, non come un’accusa. Ma il peso è lo stesso.

Lunedì sera, all’Olimpico, tutto questo tornerà a galla. Ogni applauso, ogni fischio, ogni inquadratura sarà un colpo allo stomaco. Perché De Rossi non è uno qualunque tornato da ex: è uno che rappresenta “un bel pezzo di Roma e del calcio italiano”, come dice lui stesso. Uno che ha sempre scelto la dignità, anche quando avrebbe potuto usare il suo potere. “Se mi fossi tradito da solo non sarei stato così orgoglioso”, racconta. Ed è forse questa la chiave del suo dolore: aver perso la Roma senza mai perdere se stesso.

Ora c’è il Genoa. C’è una salvezza da conquistare. C’è un lavoro da portare avanti con serietà, perché De Rossi è diventato allenatore anche per questo: per non mentire a chi lo segue. Ma c’è anche una battaglia interiore senza precedenti. Perché lunedì, per la prima volta nella sua vita, Daniele De Rossi dovrà mettere da parte il cuore. O almeno provarci.

Sarà la storia di copertina della 17ª giornata. E comunque vada, non sarà una partita come le altre. Per nessuno. Soprattutto per lui. Quando il cuore batterà più forte. Proprio a casa sua.

L’articolo Serie A…volte ritornano, da avversari: De Rossi contro la sua Roma proviene da IlNewyorkese.

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