
E il grano non è l’unica coltura colpita: anche orzo e mais mostrano cali rilevanti nelle rese, rispettivamente del 12-14% e del 4%.
Lo studio ha esaminato oltre mezzo secolo di dati, utilizzando modelli colturali avanzati e database della FAO, per ricostruire l’evoluzione delle rese agricole in funzione del cambiamento climatico.
I risultati evidenziano chiaramente che le regioni agricole più produttive del pianeta – tra cui Europa, Cina e Russia – stanno già subendo gli effetti negativi del riscaldamento globale.
Tra il 1974 e il 2023, le innovazioni agronomiche e tecnologiche hanno permesso di aumentare le rese globali tra il 69% e il 123%. Tuttavia, gli impatti negativi del cambiamento climatico hanno già iniziato a erodere questi guadagni, minacciando la stabilità del sistema alimentare mondiale.
Le condizioni meteo estreme del 2024 confermano il trend. In Cina, maggiore produttore di grano al mondo, caldo e siccità mettono a rischio i raccolti. In Inghilterra, la primavera più secca degli ultimi 70 anni ha danneggiato gravemente le colture.
Uno degli aspetti più allarmanti emersi dallo studio è che le stagioni di coltivazione più fresche di oggi sono più calde dell’80% delle stagioni di cinquant’anni fa.
In alcune regioni, persino le annate meno calde di oggi superano le temperature più alte registrate mezzo secolo fa.
Lo studio lancia anche un monito: «La scienza climatica ha fatto un lavoro straordinario nell’anticipare gli impatti globali sui principali cereali. Dovremmo continuare ad affidarci a questa scienza per guidare le decisioni politiche», specialmente per colture di largo consumo ma meno centrali per la sicurezza alimentare, come caffè, cacao, arance e olive.
gsl