MILANO (ITALPRESS) – Nove italiani su 10 hanno sofferto di una qualche forma di dolore nel corso dell’ultimo anno e la metà (46%) di loro si sente stigmatizzata. Nel 48% dei casi il dolore porta ad isolamento e solitudine e in un terzo questa solitudine è classificabile come grave.
I dati emersi dalla nuova edizione del Haleon Pain Index (HPI), una ricerca globale condotta su oltre 18mila persone in 18 paesi, tra cui l’Italia, mostrano in modo evidente l’influenza negativa del dolore sulla vita di chi ne soffre e quanto il contesto sociale si dimostri meno tollerante nei loro confronti. Come se il senso di solidarietà frutto dell’esperienza Covid-19 fosse ormai svanito.
La quinta edizione dell’HPI promossa da Haleon, azienda leader mondiale nel settore del Consumer Healthcare, delinea infatti una società post-pandemica dalla memoria corta e poco comprensiva nei confronti del dolore, se non addirittura con atteggiamenti giudicanti: il 46% di coloro che vivono una forma di dolore fisico si ritiene stigmatizzato e un quarto (il 26%) teme di essere giudicato per la propria condizione.
Dalla prima edizione del 2014, il HPI evidenzia come l’impatto sociale ed emotivo del dolore sia cresciuto di quasi il 25%, con lo stigma e l’isolamento sociale derivanti dal dolore quotidiano in aumento in tutto il mondo.
In generale il dolore ha ripercussioni significative su quasi tutti gli aspetti della vita delle persone ed influisce sui rapporti con familiari ed amici al punto che un italiano su 2 riferisce di trascorrere regolarmente del tempo in solitudine in caso di episodi di dolore, solitudine classificata come grave per 1 italiano su 3, ed il 64% di essere meno socievole. Un fenomeno, quello della solitudine e dell’isolamento sociale, sollevato recentemente (primavera 2023) dall’OMS e dal National Center for Chronic Disease Prevention and Health Promotion per i suoi effetti devastanti sulla salute pubblica.
Linda Papadopoulos, psicologa e autrice, ha commentato: “Il dolore quotidiano è un problema di salute che può essere ignorato con facilità, rifiutato o banalizzato. Molte persone non si rendono conto che i suoi effetti possono essere peggiori dei sintomi stessi; il risultato che deriva dalla mancanza di empatia con gli altri e dall’essere trattati in modo diverso determinano solitudine e un impatto sulla salute mentale non trascurabile ed in via di peggioramento. Come società, abbiamo il dovere di intervenire laddove si continua prepotentemente a manifestare una sorta di indurimento verso un tema così rilevante di salute con ripercussioni di natura sociale ed economica”.
L’Haleon Pain Index ha scoperto che a livello globale, gli italiani sono tra le persone che soffrono meno di altri il dolore come tabù: se nel mondo il 39% degli intervistati dichiara che il dolore è un tabù, in Italia coloro che sono d’accordo con questa affermazione sono poco meno di 1 su 3. Sebbene il dato sia inferiore a quello globale, si tratta comunque di un dato elevato che spinge a soffrire in silenzio per non essere giudicati (26%).
Sono soprattutto i più giovani ad evidenziare questo problema: il 39% della Gen Z ritiene che subire episodi di dolore equivale a vivere un tabù e quindi preferiscono non parlarne, rispetto al 33% dei Boomers ed il 70% si è sentita discriminata o non creduta rispetto al 39% degli adulti (59-77 anni).
Dato preoccupante che riguarda anche coloro che già sperimentano pregiudizi, discriminazione ed esclusione sociale sono sempre più vittime di questo inasprimento culturale.
Il 51% delle donne italiane si è sentita discriminata o non creeduta rispetto al 44% degli uomini.
Simile discriminazione si registra se ad essere preso in considerazione è l’orientamento sessuale: il 62% delle persone LGBQ+ rispetto al 46% degli eterosessuali.
Gli intervistati hanno concordato sulla necessità di una visione più personalizzata e compassionevole del dolore. Più di due terzi (69%) delle persone hanno affermato che una maggiore empatia per affrontare i pregiudizi e l’esclusione farebbe davvero la differenza nella loro esperienza del dolore.
Dalla ricerca emerge infine il desiderio di un ruolo attivo nella gestione del dolore da parte di medici e farmacisti, riconosciuti come figure di supporto che necessitano però di una migliore formazione (il 71% degli intervistati lo ritiene necessario per i medici, il 61% per i farmacisti) che li aiuti soprattutto a riconoscere l’estrema individualità del dolore.
-foto Agenzia e Fotogramma-
(ITALPRESS).
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