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Per le imprese agricole sprint del digitale

ROMA (ITALPRESS) – Le imprese agricole accelerano il passo per recuperare il ritardo nel cammino verso la transizione digitale.
Il 23% delle aziende del settore sta adottando o intende adottare tecnologie 4.0 tra il 2022 e il 2024, contro il 4% del triennio 2017-2019 e il successivo balzo al 20% nel biennio dell’emergenza pandemica. Ma per un’azienda del settore su quattro le risorse economiche insufficienti sono il principale freno ad investire nella digitalizzazione. Anche per queste imprese il Pnrr potrebbe essere un’opportunità da cogliere, tuttavia il 69% delle aziende del settore dichiara di non volere o di non potere accedere a queste risorse. Mentre solo il 16% si è già attivato e un altro 15% ha in programma di farlo. E’ quanto emerge da un’indagine del Centro Studi Tagliacarne su un campione di 800 imprese agricole con almeno 2 addetti secondo cui un’impresa agricola su due conta di superare i livelli pre-Covid entro il 2024.
“L’agricoltura si sta dimostrando sempre più ricettiva nell’adozione delle nuove tecnologie abilitanti con l’obiettivo di competere al meglio sul mercato”, evidenzia il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, che aggiunge: “Le imprese agricole sono più propense delle altre realtà imprenditoriali a investire in capitale umano per migliorarne le competenze e per favorire la partecipazione dei dipendenti allo sviluppo dei progetti di innovazione, in una logica di condivisione. Tuttavia, per dare un ulteriore slancio al processo di cambiamento in corso è necessario sviluppare policy mirate che favoriscano la modernizzazione dell’intera filiera che resta strategica per la nostra economia”.
Più nel dettaglio la scarsità delle risorse finanziarie è un ostacolo agli investimenti in tecnologie abilitanti avvertito particolarmente dalle imprese femminili del settore (49% contro il 25% delle aziende agricole complessive). Ma a creare maggiori difficoltà ad investire nella transizione digitale sono anche i costi troppo elevati delle tecnologie (23%) e la scarsa informazione sull’iter per investire in tecnologie digitali (21%).
L’86% delle imprese agricole fa ricorso al capitale proprio o familiare per finanziare la gestione corrente e realizzare investimenti. Un dato che conferma la scarsa capitalizzazione delle aziende di questo settore, dove il capitale aziendale si confonde con quello personale. Ma quando le aziende ricorrono all’esterno per trovare le risorse necessarie, il 52% si rivolge agli istituti di credito mentre appena il 25% utilizza i finanziamenti pubblici diretti.
La metà delle imprese agricole (il 49% per esattezza) sta realizzando o intende realizzare investimenti green tra il 2022 e il 2024, con picchi che salgono al 61% per le imprese guidate da donne e al 55% per quelle under 35. Ma il Sud resta indietro (43%). Mentre dal punto di vista settoriale più sensibili alla sostenibilità si rilevano le imprese del settore agricolo (58%) meno quelle della Silvicoltura (31%).
Imboccare la strada della transizione green non sembra preoccupare particolarmente le imprese del settore. L’86% delle imprese dichiara, infatti, l’assenza di particolari difficoltà all’introduzione di investimenti green nella propria attività.
Maggiori problematicità si riscontrano in corrispondenza della ricerca delle figure professionali necessarie (12%) e dei costi di approvvigionamento delle materie prime verdi troppo elevate (10%).
Mentre le risorse finanziarie sono un problema solo per l’8% delle imprese del settore.
Ben il 78% delle imprese intervistate dichiara che investire in sostenibilità è un’opportunità per il proprio business, contro il 63% delle imprese industriali e il 55% dei servizi. Ma per il 22% la via “verde” rappresenta solo un vincolo. In particolare, il 47% è mosso dalla necessità di rispettare le regole imposte a livello nazionale ed europeo, il 22% dalla consapevolezza del rischio aziendale causato dall’inquinamento e dal cambiamento climatico, il 21% dalle migliori ricadute sull’immagine e sulla reputazione dell’azienda.
Tra i principali risultati conseguiti dalle aziende che hanno realizzato investimenti verdi – il 50% nel quinquennio 2017-2021 – la riduzione dei rifiuti o degli scarti di produzione va per la maggiore (63%). Seguono, al secondo posto l’utilizzo di energie rinnovabili (47%) e al terzo il risparmio idrico (39%).
Appena il 13% delle imprese agricole dichiara di avere più di qualche grattacapo con il passaggio del “testimone”. Ma per il 59% dei casi il ricambio generazionale non è un problema, perchè è già stato fatto oppure perchè non in agenda. Il 45% delle imprese è ancora alla prima generazione, con picchi nella Silvicoltura (68%) e nel Sud Italia (59%). Mentre, il 38% è alla seconda generazione e solo il 16% alla terza o successiva. Colpisce che più dei due terzi dei giovani imprenditori agricoli non hanno fondato l’impresa ma l’hanno ricevuta in eredità.
Più laureati tra imprese agricole a guida giovanile e femminile Sebbene solo un imprenditore agricolo su dieci sia in possesso di un diploma di laurea, la quota di laureati sale al 26% tra le imprese giovanili e al 21% tra quelle femminili. Nel complesso i “dottori” sono in numero maggiore tra gli i capitani di impresa con più di 50 addetti (23%) e nel Centro Italia (18%).
Le imprese agricole mostrano una maggiore capacità di fare network con gli altri attori della filiera: il 42% punta a favorire la partecipazione dei dipendenti allo sviluppo dei progetti di innovazione (contro il 37% di imprese industriali e il 32% di imprese terziarie); il 37% ad instaurare collaborazioni con le associazioni di categoria (contro 30% delle imprese industriali e il 31% delle imprese di servizi), il 35% a sviluppare partnership con altre imprese (contro al 30% delle imprese manifatturiere e il 25% di quelle di servizi); il 60% ad investire in capitale umano ( contro il 51% delle imprese manifatturiere e il 45% delle imprese di servizi). Anche nella scelta dei propri fornitori la relazione stabilita nel tempo premia. Oltre la metà delle imprese agricole scegli i propri supplier infatti in base alla fedeltà dimostrata.
Mentre per il 24% è determinante il binomio qualità/prezzo e per il 16% fa la differenza l’affidabilità del fornitore. Più dinamiche sulla capacità di fare network sono, in generale, le imprese giovanili, meno quelle del Mezzogiorno.

– foto ufficio stampa Istituto Tagliacarne –
(ITALPRESS).

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