ROMA (ITALPRESS) – L’incidenza degli aiuti di stato sull’elaborazione e sull’attuazione della politica industriale: è il focus dell’incontro “Politica industriale e aiuti di Stato oggi”, promosso dal Centro Studi Americani e aperto dall’intervento del presidente emerito della Corte Costituzionale, Giuliano Amato, che ha sottolineato come la politica industriale europea “stia diventando un tema cruciale, per quanto riguarda i rapporti tra gli Stati membri, ma anche tra l’Unione europea e gli Stati Uniti. Fino a pochi anni fa, parlare di politica industriale europea sembrava una cosa ‘fuorì, oggi si parla di come finanziarla”, ricorda. “E’ il frutto della deglobalizzazione che è intervenuta a seguito della pandemia e della guerra che hanno ‘rotto le catenè della distribuzione del mercato globalizzato per molti prodotti”, sottolinea. Secondo Daniele Gallo, professore di diritto dell’Unione Europea alla Luiss, “il processo di deglobalizzazione profila un nuovo ordine giuridico che per far fronte alle trasformazioni in atto – dalla transizione energetica all’intelligenza artificiale – sembra avere come unico strumento la compressione del mercato”.
Alla modifica dovuta alla globalizzazione, Giovanni Pitruzzella, costituzionalista e avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, aggiunge “l’esistenza della doppia transizione verde e digitale, che deve essere guidata dallo Stato”, ma “il rilassamento delle regole o il far leva solamente sugli aiuti di Stato pone la certezza che si creino nuove politiche protezioniste”.
Secondo Bernardo Mattarella, amministratore delegato di Invitalia, “per essere sempre più efficaci nel tradurre gli aiuti di stato in aiuti effettivi alle imprese, bisogna ordinare gli strumenti di questa attivazione finanziaria con gli incentivi quadro”, spiega. “C’è un pò di carenza di offerta nei confronti delle imprese nella fascia intermedia, quindi nei confronti delle piccole e medie imprese, che sono il ‘cuorè del sistema italiano”, prosegue.
La scelta politica che l’Unione europea sta facendo “pone le basi per un profondo ripensamento, in Europa, della relazione tra dritto e mercato e tra pubblico e privato, come dimostrano le molteplici misure volte a relativizzare il divieto di aiuti di Stato, ad iniziare dal Quadro temporaneo del marzo 2020, dal regolamento sugli investimenti esteri diretti del 2019 e dal regolamento sulle sovvenzioni estere del 2022”, aggiunge Andrea Zoppini, professore ordinario di diritto civile all’Università Roma Tre. “Queste tre politiche mostrano il mutamento di prospettiva in atto in Europa. Quanto agli aiuti, le notifiche effettuate dagli Stati, negli ultimi tre anni, circa i finanziamenti erogati a una pluralità di imprese hanno portato, quasi sempre, la Commissione a dichiarane la compatibilità con il diritto UE. De facto, una sospensione generalizzata del divieto di aiuti di Stato: la finalità della tutela della concorrenza arretra a favore di una finalità differente, quella di rafforzare e promuovere il sostegno economico offerto, su base nazionale, dagli Stati alle imprese”.
Anche il sottosegretario all’Economia, Federico Freni, ricorda che “in questi anni abbiamo assistito a una sorta di valzer: prima abbiamo considerato gli aiuti di stato un fenomeno distorsivo, poi positivo e poi di nuovo distorsivo. Oggi partiamo dall’idea che l’Europa deve essere in grado di elaborare una politica industriale comune”, ma questo vuol dire ipotizzare “una progressiva deroga alla concorrenza intracomunitaria in favore di un mercato che vedrà l’Europa agire come un attore unico. Se vogliamo immaginare quella che, un pò utopisticamente, è una capacità fiscale e una politica industriale comune, dobbiamo comunque immaginare che gli aiuti di Stato andranno nuovamente scemando, ma questo non vuol dire che lo Stato dovrà abdicare al suo ruolo”, sottolinea Freni.
“Nel recente passato, purtroppo anche a causa di eventi drammatici, l’Italia è stato uno dei Paesi ad aver usufruito maggiormente di deroghe al divieto di aiuti di Stato. E’ importante però che questa situazione non diventi una regola. Abusare degli aiuti di stato per aumentare la competitività dell’industria europea rischia di indebolire il mercato unico, creare grandi divari tra gli Stati membri, ed innescare una guerra commerciale tra USA e UE dalle conseguenze imprevedibili”, ricorda. “Sarebbe necessario lavorare ad un rafforzamento del dialogo atlantico e della politica economica europea, attraverso una revisione della governance, soprattutto in termini di bilancio, e di armonizzazione fiscale”.
Gli Stati Uniti sono stati i primi a scendere in campo con l’Inflation Reduction Act, di cui si sta discutendo e valutando quali potranno essere le evoluzioni future: per Francesco De Carolis, professore di economia industriale dell’Università Bocconi, “l’Inflation Reduction Act è il primo passo che gli Stati Uniti hanno fatto verso la transizione verde e una politica di lotta al cambiamento climatico globale”. Nel fare questo passo, “c’è necessariamente una spinta pubblica: questa legge prevede investimenti di circa 400 miliardi nei prossimi anni, ma è difficile ipotizzarne gli effetti economici. Gli economisti tedeschi fanno una previsione ottimista degli effetti dell’IRA perchè secondo loro porta a un allargamento del mercato, mentre gli Stati che non prevedono che le loro aziende riusciranno a rispondere a questo allargamento sembrano avere una visione estremamente negativa dell’IRA: chiaramente in certi settori ci saranno più difficoltà che in altri”. Per il direttore generale di Assonime, Stefano Firpo, “arriviamo da dieci anni in cui le istanze industriali sono state molto blandamente considerate in Europa. La ‘scossà americana è un cambiamento pazzesco in prospettiva, perchè si è iniziato a capire che possiamo fare la transizione energetica con l’industria: è un paradigma che non va sottovalutato. Il cambiamento di prospettiva sulla politica industriale è colossale”.
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